09 – io credo – Finalmente avevo un piano (Parte 1/3)

Credo che un libro ti prepari al successivo.
Credo che la vita sia il continuo processo di raggiungere sè stessi.
Credo che il futuro possiamo cambiarlo. possiamo influenzarlo, possiamo costruirlo.

Io sono francesco tassi. E questa volta, parto dalla fine 🙂

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Si, vorrei!

Ti ho lasciato in un bar di Nashville, in cui per la prima volta avevo un piano.

Dopo tanto leggere, provare, fallire, mi sembrava improvvisamente che la mia strada fosse più chiara. Il ricordo di quel momento è così vivo, così presente, perchè porto le cicatrici di quello che c’è stato prima.

Mi trovavo al Barista Parlor, nella zona East di Nashville, baciato da un sole di Aprile.

Leggevo sorseggiando il mio cappuccino da 4.95 dollari e osservavo il viavai di studenti e motociclisti. Era un incrocio di gruppi di studio e barbe lunghe, catene e giacche in pelle su un tavolo e cuffie Beat e laptops nell’altro. In sottofondo, una sinfonia di Beethoven: il locale f sentire solo musica classica. Era irreale.

Guardavo quei giovani e mi chiedevo quali fossero i loro sogni. Mi ricordo anch’io quel periodo e tornando indietro mi fa sorridere pensare come li, nonostante non avessi alcuna idea chiara del futuro, avevo fiducia che l’avrei capito. 

E invece, dopo tante prove in questi anni c’era una domanda a cui non ero ancora riuscito a rispondere.

Come capisco se sto facendo la cosa giusta?

Il libro “So good they can’t ignore you” di Cal Newport, parla di come nonostante abbiamo in mente dove vogliamo arrivare, sbagliamo a visualizzare da dove partire. Il suo messaggio è chiaro: non devo trovare un lavoro che insegua la passione, ma devo prima essere bravo nel mio lavoro, e la passione arriverà.

Sono sincero, la prima volta che l’ho letto non mi ha convinto, PER NIENTE.

Io sono sempre stata una persona appassionata, guidata dalle emozioni che certe esperienze ti donano. Mi sentivo vibrare l’anima quando ero un ballerino. Mi sentivo entrare in risonanza con il mondo quando suonavo nei locali. Il palco era dove volevo stare, il palco ero io.

Di cosa parli Cal? Mi stai dicendo che queste cose non contano? Che devo dimenticarmi queste emozioni? Come può un lavoro “normale” darmi le stesse cose? Come posso ignorarle?

Ricordo benissimo mentre leggevo il libro, ero in Spagna, ad ogni pagina sbuffavo e guardavo il soffitto.

Era davvero una cazzata… o ero io, che non volevo vedere?

Passion Mindset

Secondo Cal, ci sono due mindset, due modi di pensare. Il primo, il più comune, è il Passion Mindset: la mentalità delle passioni.

Pensiamo in questo modo quando ci concentriamo su cosa il mondo può offrirci.

Ci sono due aspetti negativi nel pensare così. Ad esempio, quando ci focalizziamo su quello che il lavoro ci offre, questo ci rende super-sensibili nel vedere quello che NON ci offre, cosa non ci piace. Questo è vero soprattutto per lavori entry level, quando abbiamo appena iniziato e mancano progetti stratosferici e autonomia. Quelli arrivano solo dopo.

Inoltre, se ci concentriamo su questo aspetto, le domande che inevitabilmente ci facciamo “chi sono io, è questo quello che amo, etc) rimarranno sempre senza soluzione.

E’ difficilissimo rispondersi in modo chiaro si o no. Il rischio è quello di rimanere sempre in uno stato di incertezza, di confusione, in cui ci ripetiamo sempre le stesse domande e ci sembra di rimanere sempre al punto di partenza, indipendentemente da tutti gli sforzi che abbiamo fatto.

Opposto a questo, c’è il Craftsman Mindset: la mentalità dell’artigiano, o del costruttore.

Craftman Mindset

Pensiamo in questo modo quando ci concentriamo su cosa noi possiamo offrire al mondo. Significa diventare “So good they can’t ignore you”, così fottutamente capace da non poter rimanere inosservati.

Marco è un ottimo batterista. Studia ogni giorno, per ore e ore, fino a perfezionare i suoi riff. Viene notato ad un concerto di coverband, dove suona per arrotondare mentre in parallelo porta avanti il conservatorio, la fanfara e raccoglie qualche soldo per poter studiare Jazz Manouche a Parigi.

Viene chiamato per registrare un disco, un piccolo progetto ma è finalmente un segno di apprezzamento per il suo lavoro. Quando esce dalla sala, affronta il più temibile dei suoi nemici: la sua registrazione.

“The tape doesn’t lie” il disco non mente. Il più temibile dei suoi nemici, insomma, è sé stesso. Ma Marco ha studiato giorno e notte e non fallisce questa prima prova. Il produttore è soddisfatto e giovedì lo richiama per un’altra sessione.

E qui torniamo al punto di partenza: Marco era già appassionato! Per forza ha studiato, perché era palese stesse facendo qualcosa che aveva già scelto, aveva trovato il lavoro per lui.

I giocatori di NBA, di calcio, pallavolo, gli atleti, attori, registi…certo, allenamenti e pratica, ma amano già quello che fanno!!
Ecco, mi ero convinto, avevo ragione io!! E l’ho pensato per oltre una settimana.

Fino a che, dimenticarmi il cellulare su un tavolino di un bar, ha completamente cambiato le mie convinzioni.

Come?

Te lo racconto, nella prossima puntata.

Ps:

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One Comment

  1. […] Ti avevo lasciato in un momento molto preciso, ero in un bar a Nashville dove finalmente avevo un piano. […]

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